Inflazione e caroprezzi? Non perdiamoci in chiacchiere, torniamo a parlare di valore, identità e strategie

Come ogni estate è tempo di numeri, pochi, e parole, tante, forse troppe. Ed è già in premessa l’errore storico di una terra incapace di andare oltre la stagione e l’approssimazione. In un contesto viziato da fattori macro-economici, i flussi sono ripartiti, ma probabilmente non a vantaggio della Puglia, che sembra aver frenato, né del Salento, che dalle prime stime sembrerebbe essere in lieve flessione nonostante le rassicurazioni.

Il turismo in Salento non è certamente finito, perché quello vero, programmato, strategico ed integrato non è mai iniziato. Così come non serve a nulla il disfattismo, ma un sano bagno di umiltà e consapevolezza farebbe bene.

Il Salento si presenta come meta, non come destinazione, la cui domanda si fonda per l’80% sul turismo balneare. L’offerta, di contro, ha risposto con una forte stagionalità delle attività, creando precarietà ed incertezza. Salari bassi, prezzi alti. E’ la turistificazione e qualcuno, nel tempo, ha consentito che si andasse verso questa direzione.

I dati degli ultimi anni erano dopati dalla crescente capacità di contrasto al sommerso, con cui sono emerse presenze prima non contabilizzate. E i dati degli arrivi, forniti da aeroporti e ferrovie in primis, risentivano di una crescita dell’offerta di quei mezzi di trasporto, che oggi vivono una contrazione interna, dovuta al costo raddoppiato delle tratte. In tutti i casi i dati devono essere letti nel loro complesso, nell’annualità, per comprendere anche flussi, target e mercati. Le riaperture hanno favorito i viaggi all’estero, ed il carovita ha sostenuto mete dove le low cost unite ai prezzi competitivi di mercati meno inflazionati hanno ridato numeri interessanti.  

Ma il dibattito troppo spesso si è fermato sul prezzo. Ricordate la famosa frisa a 10 euro? Ora costa 12, forse 15, ma non è il prezzo medio, e comunque il punto è un altro: il valore.
Il prezzo non è solo un costo, ma anche un valore. In parole povere concentriamoci sul rapporto qualità/prezzo. Il costo può essere alto, altissimo, ma non dovrebbe mai eccedere il valore, ed il valore è dato dall’insieme dei fattori di produzione o servizio. Personale formato, locale e contesto, prodotti di prima scelta, accessori, servizi inclusi, possono determinare il prezzo alto, perché al costo si affianca un valore.

Valore, quello sociale, di un turismo che propone un modello che non tiene conto di svantaggi, disabilità, assistenza, tutela del territorio. Sebbene qualcosa si sia mosso, restano cattedrali nel deserto, come resta imbarazzante lo stato delle campagne quanto delle spiagge pubbliche in balia dei rifiuti e della mancanza di accessibilità.
Da circa dieci anni ripeto che il Salento si è basato su un turismo subito e non governato. Oggi noto con piacere, anche se con ritardo e spesso con copia e incolla privi di menzione, come nel caso del pezzo “Salento d’alba al tramonto” ripreso da un noto balneare della marina di San Cataldo, che molti imprenditori, amministratori ed operatori del settore, rilanciano quei miei contenuti scritti quasi un decennio fa.

Turismo subito significa mancanza di una governance pubblica che dia un chiaro indirizzo al mercato, strumenti, risorse e linee guida per gestire flussi, ottimizzare i servizi, pianificare gli investimenti. Ed è nel caos che si presta il fianco a gruppi di potere che hanno privatizzato e logorato il turismo, con la nascita e l’espansione di realtà utili solo a dinamiche predatorie. In tal senso l’amministrazione pubblica e le istituzioni sono state troppo disattente, e spero si tratti solo di disattenzione.

Con lo stesso ritardo di cui prima, si parla oggi di overtourism, quando tale fenomeno appare ormai passato, e abbiamo nuove sfide davanti. Chiaro segnale, questo, di inadeguatezza politico-istituzionale, e mancanza di managerialità nel settore.

Le imprese troppo spesso sono guidate da istinti familiari e non da competenze manageriali, ma su di loro si esprime il giudizio del libero mercato, anche se si riflette sull’intera reputazione del territorio.

La politica si è limitata ad ordinanze scriteriate che oggi penalizzano l’immagine, il commercio e la vivacità di una terra rinomata per uno stile di vita frizzante e dinamico.

Lecce, per esempio, potrebbe rappresentare un hub da cui sviluppare sinergie e gestioni integrate di flussi e presenze, iniziando a presidiare nuovi mercati, che ad oggi non sono neanche tenuti in considerazione. La città sembra ostaggio del narcisismo della politica cittadina che si specchia su iniziative di facciata, che si infrangono contro la turistificazione del centro storico ed una mancata evoluzione di un modello che si presta sempre più a interessi privati.


Il capoluogo salentino dovrebbe essere un modello di sviluppo, con un piano strategico specifico, con un destination management che faccia emergere peculiarità e specificità dell’offerta. E solo oggi, ad un anno dalle prossime amministrative, viene dato, anche questa volta, un affidamento diretto, dal valore di 50mila euro, ad una società, per la redazione di un piano che varrà per il quinquennio a venire. Scelte che evidenziano ritardi e pratiche inopportune di una politica che fino ad oggi ha usato il turismo come cassa di risonanza. Come per gli eventi, tanti, concentrati, come le migliaia di euro in affidamenti diretti a cooperative, per la gestione di beni o servizi pubblici. Eventi raccolti in un portale, l’ennesimo, come lecceinscena.it.

Un sito non indicizzato, di cui non vi è traccia dell’App di cui l’Amministrazione vantava la nascita. Ovviamente con un costo non da poco, senza alcun dato certo, ed in una città in pre dissesto, ogni euro speso male, è un euro speso peggio.

Ciò che si potrebbe fare è noto a molti da tempo, ma sembra non esserci volontà o capacità politica di indirizzare gli sforzi nel verso giusto. La tanto sbandierata destagionalizzazione non ci sarà mai fino a quando non si creeranno nuove stagionalità. La tanto ambita internazionalizzazione non si avrà mai, fino a quando non si avranno accordi commerciali con i principali hub e vettori internazionali e non si forniranno servizi infrastrutturali seri e continuativi. Non solo in quattro mesi.

A fronte di un’offerta esplosa, soprattutto nel settore extra alberghiero e ristorativo, la domanda potrebbe conoscere una lenta ma contenuta flessione, non si tratta di crisi, ma di un fisiologico ritorno ad un equilibrio più strutturale. Bisogna metterselo in testa: dall’estate abbiamo spremuto tutto ciò che c’era da spremere. Un modello feroce che ha generato sacche di ricchezza senza distribuirla, esercitato pressione sul territorio e sui servizi essenziali, rotto equilibri tra domanda e offerta che ora andrà a ricomporsi non senza criticità per imprese e lavoratori.

Non serve più improvvisazione e serve una cabina di regia composta da istituzioni, amministrazioni, operatori e tecnici del settore. Non serve più muoversi in ordine sparso, ma realizzare sinergie, mettere in comune le competenze e le capacità. Serve voltare pagina e scriverne una nuova, dove finalmente il concetto di turismo torni ad essere una materia e non un fenomeno, e venga trattato come la prima industria del nostro territorio e non un insieme di economie allo sbaraglio. Che abbia un valore economico, quanto sociale e culturale.

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