Il tema della censura è tornato di moda, dopo gli anni imperanti del mainstream fatto di grandi editori, pochi canali e monopoli dell’informazione. Un mondo stravolto dal nano publishing prima e dal micro editing dopo. Un mondo fatto di profili, pagine, gruppi, su svariate piattaforme social e di messaggistica istantanea.
Sebbene gli esperti, da oltre 10 anni, mettevano al centro della discussione la necessità di regolamentare il web, molti sono insorti a più riprese, ritenendo che almeno nello spazio digitale bisognasse lasciare libertà di parola.
Ma si sa, la libertà va esercitata con azioni di disciplina democratica e, lì dove non avviene questo esercizio prosperano frodi e illegalità.
Ogni minuto nel mondo vengono postati oltre 4 milioni di contenuti su Facebook, il social più diffuso sul pianeta, ed in un solo anno sono stati rimossi circa 780 milioni di account falsi. L’assenza di una giurisprudenza comune e comprovata ha permesso lo svilupparsi di linee editoriali basate su fake news, per attrarre click, utenti, e perciò, tramite concessionarie pubblicitarie, soldi.
Spesso dietro questi account si nascondono organizzazioni politiche, fondazioni, che trasformano la contro-informazione in informazione contro. Questo modo di agire, è il più seguito, circa il 65% dei post con maggiore engagement avviene con contenuti il cui oggetto è l’attacco a qualcuno/qualcosa, la disapprovazione, il fastidio. Si stima che in Italia esistano oltre 50 testate scientemente realizzate per inondare il web di meme e fake news. Ogni giorno in Italia vengono propagate e condivise, solo su Facebook, circa 2 milioni di post, 13 milioni di storie. Oltre il 30% dei post nascono da pagine non ufficiali, non verificate o non risalenti a fonti dichiarate attendibili ed iscritte ad alcun ordine professionale.
Ma la libertà finisce dove inizia quella degli altri, e in assenza di garanti e norme chiare e condivise, spetta alle piattaforme mantenere le regole del gioco.
Ad aprire il dibattito sulla censura, è stata la sospensione dell’account di Donald Trump, l’ex Presidente USA ha subìto un contrappasso dalla la sua principale fonte di comunicazione. E’ successo anche a Libero Quotidiano, una testata più volte al centro delle polemiche per una linea editoriale volutamente sessista, razzista e spesso strumentale rispetto a fini di appartenenza politica mai nascosti.
Attenzione però, in termini tecnici, quanto accaduto a Trump, come a Libero, non è una cancellazione o una censura dell’account, ma una sospensione temporanea. Nella policy delle piattaforme social si legge con chiarezza che in base a ripetute segnalazioni, su comportamenti che : “ispirano, incidono, e sollecitano violenza, o comportamenti criminali” o che “mettano a repentaglio la sicurezza di altri account come di comunità, o l’ordine pubblico“, ed infine che “producono, elaborano, condividono, contenuti violenti, deplorevoli, e sostengono cause discriminatorie ” verranno temporaneamente sospesi.
Molti contenuti vengono già oscurati automaticamente, proprio per la mancata adesione alle regole della community. In casi di account verificati, (identificati dal flag blu affianco al nome dell’utente), vengono inviate delle notifiche, poi una sospensione temporanea fino a che i richiami non vengono attuati.
Nella fattispecie, Trump ha twittato più volte, contenuti che inneggiavano all’insurrezione popolare, che subito hanno fatto il giro delle principali piattaforme dell’estrema destra americana. Sappiamo tutti come è andata a finire. Rimossi i tweet, Trump è ritornato in possesso dei suoi account.
Il giornale Libero invece ha avuto a che fare con problemi di account, legati ad attività di spam, o di accessi sospetti, così come riportato nelle attività di sicurezza di Twitter “se sospettiamo che un account sia stato violato o compromesso, potremmo sospenderlo finché non viene messo in sicurezza e riconsegnarlo al proprietario dell’account”.
Altroché censura, Libero è stato tutelato.
Siamo perciò arrivati con ritardo a parlare del web, già trasformatosi in farweb, dove in assenza di regole, garanti, diritti e doveri riconosciuti a livello continentale e planetario, l’unica forma di sicurezza è espressa dal privato, e dalla policy della piattaforma a cui ogni utente aderisce all’atto dell’iscrizione.
Siamo arrivati solo oggi a comprendere l’importanza dei dati, della privacy, e della portata di canali che ormai sono un mainstream che ci vede come presentatori di tanti micro canali, la cui linea editoriale viene scelta dal direttore di testata.
Scopriamo solo oggi di essere ospiti all’interno di uno spazio in affitto, e che la gratuità a cui ci siamo aperti con gioia, era uno scambio impari con la gestione della nostra digital life.
Sarebbe il caso, di allargare le normative sull’editoria e omologare lo spazio dei social network alla giurisprudenza di tale materia, realizzando al contempo, un’unica piattaforma giuridica europea, per porre limiti e filtri agli investimenti su canali digitali illeciti, oscuri o non regolamentati.
di Alberto Siculella
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